La lettera di Plinio il Giovane è una delle testimonianze in base alle quali si tenta di ricostruire la data di nascita di Cornelio Tacito, che gli studiosi collocano intorno al 55, in una località imprecisata. Della famiglia, appartenente all'ordine equestre e di rango senatorio, si sa comunque che doveva essere ricca e influente e che consentì al futuro storico un'educazione di prim'ordine, forse sotto la guida del retore Quintiliano. Le notizie diventano più dettagliate a partire dal 77 o 78, quando Tacito sposò la figlia di Giulio Agricola, importante uomo politico e militare, conquistatore della Britannia. Alla dinastia flavia è legato il suo cursus honorum: fu, tra l'altro, questore, edile, pretore, infine propretore (o legato) in un'imprecisata provincia dell'Europa nord-occidentale, nella quale forse entrò in contatto con popoli germanici. Morto Domiziano nel 96, il passaggio al periodo del principato adottivo - che Tacito saluta con un sospiro di sollievo: Nunc demum redit animus! ("Ora finalmente ritorna il coraggio!") - segna l’inizio dell’attività storiografica di Tacito. Nel frattempo riprese la carriera politica, diventando prima “consul suffectus” e infine nel 112 proconsole della provincia d’Asia. La morte di colloca intorno al 120.
Ai primissimi anni di questa nuova fase dell'impero e della vita di Tacito risalgono le due opere monografiche:
- "De vita et moribus Iulii Agricolae" ("La vita e i costumi di Giulio Agricola") o “Agricola”: composto e pubblicato fra il 97 e il 98, al confine tra la biografia encomiastica e la monografia storica ed etnogeografica, ripercorre le vicende della vita di Gneo Giulio Agricola, suocero di Tacito, leale servitore dello stato anche sotto il tiranno Domiziano;
- "De origine et situ Germanorum" ("L'origine e i territori dei Germani”) “Germania”: composto anch'esso nel 98, è una monografia etnografica sulle popolazioni germaniche, che vivono al di là dei confini delle province romane, di cui Tacito ammira la moralità, ma da cui teme provengano rischi per l'integrità dell'impero;
Fra il 104 e il 120 (ipotetica data di morte) si situa la composizione delle due grandi opere annalistiche di Tacito, che non ci sono pervenute complete, le quali rappresentano una visione moralistica e intensamente pessimistica della storia, segnata dal mutamento epocale dalla repubblica al principato:
-le “Historiae”, originariamente in 12 libri, trattavano delle vicende tra la morte di Nerone, nel 68, e quella di Domiziano, nel 96: ci restano i libri relativi alla guerra civile del 69 e all'inizio della dinastia flavia, con Vespasiano;
-gli “Annales ab excessu divi Augusti” (o semplicemente “Annales”), in 18 libri, trattavano, retrospettivamente, le vicende della dinastia giulio-claudia ("dalla morte del divino Augusto" appunto, nel 14 d.C. alla morte di Nerone, nel 68): ci restano i libri relativi all'impero di Tiberio e agli anni 47-66 (Claudio e Nerone).
L'opera si apre con la descrizione del territorio occupato dalle popolazioni germaniche difficile e separato dal resto del mondo abitato e che perciò ha favorito l'isolamento dei Germani. Nella successiva rassegna dei loro usi e costumi traspare a più riprese l'ammirazione di Tacito per il loro sistema di vita e per i valori ai quali si ispirano: la lealtà e il coraggio che dimostrano in guerra, la fierezza con cui difendono la loro indipendenza, la pudicizia delle donne, la "democrazia" delle strutture politiche, la solidità di quelle familiari, la sobrietà dei consumi ecc… Sono, per la maggior parte, i valori che avevano costituito il sistema del “mos maiorum” della Roma arcaica, così che la società germanica viene a risultare come uno specchio rovesciato di quella romana a lui contemporanea, che quei valori ha ormai dimenticato. È probabile che Tacito, in questo suo modo di guardare ai popoli germanici come depositari di una purezza originaria, sia stato influenzato dalle dottrine filosofiche del cinismo e dello stoicismo, che attribuivano ai popoli “primitivi” una vitalità superiore a quella delle civiltà più mature, secondo una concezione naturalistica per la quale anche i popoli, come gli organismi viventi, sono soggetti all'invecchiamento e al deterioramento: una concezione, questa, che, a distanza di molti secoli, sarebbe riemersa nel "mito del buon selvaggio", sviluppatosi in Europa nell'età delle grandi esplorazioni e delle conquiste coloniali, secondo cui i popoli rimasti lontani dalle raffinatezze della “civiltà" avrebbero conservato uno spirito genuino e incontaminato.
“Se mi basterà la vita, io mi son riservato di narrare l'impero di Nerva e di Traiano; materia più ricca e meno pericolosa”: così scriveva Tacito nel proemio delle Historiae. E invece, quando decise di mettere nuovamente mano a un'opera storiografica, la scelta cadde sui circa cinquant'anni intercorsi fra la morte di Augusto, nel 14 d.C., e quella di Nerone, nel 68: nacquero così gli Annales, ai quali Tacito lavorò negli ultimi anni di vita, all'in circa fra il 110 e il 120, data presunta della sua morte. Ovviamente sono di impianto annalistico, da cui deriva anche il titolo.
Già nelle Historiae Tacito aveva manifestato il proprio disincantato giudizio sulla necessità storica del regime imperiale, sulla sua ineluttabilità e sulla velleitarietà di ogni ipotesi di ritorno alle istituzioni repubblicane. Nei primi capitoli degli Annales tale giudizio viene ribadito pressappoco negli stessi termini (“non aliud discordantis patriae remedium fuisse quam ab uno regeretur” : "nessun rimedio restava a una patria lacerata se non il governo di uno solo"), ma si accompagna a una più acuta consapevolezza della centralità politica della figura del principe, della sua individualità, della sua storia personale, delle sue stesse caratteristiche psicologiche. Ciò comporta un cambio di impostazione storiografica rispetto alle Historiae: se in quelle Tacito aveva dedicato molto spazio alle vicende dell'impero nella sua globalità, alla situazione delle province e dei rispettivi eserciti, alla “politica estera", ora il focus della narrazione si concentra, volta per volta, sul singolo imperatore. Da lui discendono le scelte che condizionano la vita dello stato, in lui hanno origine i cedimenti morali che si traducono nella generale corruzione dei costumi, su di lui tornano a convergere gli effetti di vicende maturate altrove. La corte è il palcoscenico nel quale egli si muove da protagonista e nel quale si consumano efferati delitti. Su di essi si concentra la narrazione di Tacito, inducendoci a credere che quasi null'altro sia stata la storia romana del I secolo d.C. se non una storia criminale.